La mamma di Enrica descriveva così la figlia. Una bambina tranquilla molto attaccata a me, è stata la mia ombra fino a quindici anni. Quando aveva otto o nove anni ha fatto fatica ad andare a casa del papà, ma poi l’abbiamo convinta. Sempre pronta ad aiutare tutti, non mi pare che abbia risentito della separazione se non nel primo periodo perché si rifiutava di vivere in due case... e invece...
Entra in studio come un’imponente valanga. La sua bellezza sprofonda in un corpo senza forma. Diciotto anni appena compiuti. Occhi vivaci come il carbone ardente. Lunghi capelli corvini a boccoli inanellati. Tenera e infelice. Disperata ed esasperata. Nella mia mente diventa subito “Il pulcino guerriero”. La guardo mentre, trafelata, cerca di mostrarsi spigliata mostrandomi chiaramente, invece, come spigliata non sia. Mi parla con una rapidità che mette a dura prova le mie capacità di comprendere il testo. Mi fissa come un cane da caccia tenendomi agganciata quasi temesse di perdermi.
“Trasudo come una cascata, mi viene il cuore in gola, penso che sverrò, mi paralizzo, ho paura di morire” sono le parole che escono concitate dalla bocca di Enrica. “Gli attacchi di panico sono iniziati da circa un mese e divorano le mie giornate” aggiunge in un mare di lacrime. “Voglio sparire dal mondo” sussurra con una flebile vocina infantile. “Penso che se mia madre mi avesse abortita mi avrebbe fatto un piacere” aggiunge tirando su dal naso il muco che cola copiosamente. “Non nascendo avrei fatto un gran piacere ai miei genitori. Non si può venire al mondo per provare solo dolore” è la frase che dà inizio ai nostri colloqui poiché le confermo che la sua disperazione la affronteremo assieme.
Dietro a tanta angoscia compaiono i vissuti tragici di una bambina offesa: “Ho due genitori divorziati tra litigi esasperati”. Prende un pacchettino di fazzolettini di carta e senza estrarne alcuno continua: “Tra di loro ricordo solo scenate di violenza verbale, ho frequentato poi assiduamente i Tribunali che volevano sapere chi erano mio padre e mia madre. Ma io l’infame non la faccio o meglio cercavo sempre di resistere alle loro raffiche di insinuanti domandine. Immancabilmente però mi sentivo una figlia sbagliata per quel che mi facevano dire”.
“La rottura del matrimonio tra i miei genitori avviene quando non ho ancora nove anni. Un pomeriggio d’inverno, poco prima di Natale, mio padre mi comunica che se ne va di casa, per sempre. Null’altro. E così esce dalla mia vita”. E anche la voce di Enrica esce di scena poiché dopo queste parole rimane in un assordante mutismo.
La guardo e penso a come arginare tanta disperazione, ma lo faccio con il cuore e non proferisco nessuna parola. Enrica apprezza questo ascoltarci assorte in una voragine di silenzi. Mi lancia uno sguardo di intesa e continua a raccontare: “Capisco poco a poco che forse è vero che lui se n’è andato definitivamente perché mia madre se ne sta a letto a piangere tra minacce di ucciderlo, uccidere la sua amante, uccidere se stessa. Qualsiasi di queste ipotesi mi fa paura. Decido che l’aiuterò io a non compiere nessun misfatto e mi accoccolo nel letto con lei. Muta e solidale”. Ed io solidale la guardo con infinita compassione per quella bimba spaventata che si ripromette di far star bene una mamma disperata perché tradita da un marito che da poco le aveva dato un secondo figlio.
“Controllo ogni giorno verso sera cassetti e scarpiere di casa. Maglie e calzature di papà sono ancora là. Penso che lui tornerà. Incredula lo aspetta senza però farlo capire a mamma per il timore possa arrabbiarsi. Sospesa spio di soppiatto il pesante portone d’ingresso sperando di vederlo entrare come lui faceva sempre, allegro e pieno di attenzioni per me, la sua principessa. Ma quel portone si apre solo per far entrare una sbrigativa nonna che viene a portar via il mio fratellino e a portare un po’ di cibo per me e mamma” afferma dimenandosi come un’anguilla sulla sedia. Tutto finito. Tutto dissolto.
Il giorno di Natale mi aspetto un regalo. Immagino che papà arriverà con un grande pacchetto tutto per me. Sa che desidero i pattini. È il mio papà, colui che sa tutto. Ma le ore passano senza nessun scampanellio. Tendo l’orecchio aspettando un trillo del telefono. Nemmeno un suono squarcia quel lugubre silenzio festivo mentre mia madre sta chissà dove nascosta sotto il piumone nel grande letto vuoto. Quel giorno lo passo ad in immaginare tutte le altre famiglie riunite attorno ad una tavola imbandita e, nella mia mente, elenco i cibi che vi metterei io se fossimo tutti assieme. Quella triste festa invece passa senza che abbia sentito la voce dei miei genitori.
Enrica ribadisce: “Non avevo più nessuna famiglia e di questo incolpai mio padre perché mia madre diceva in continuazione che era lui il figlio di puttana che ci aveva lasciati per Quella là. Così non lo volli mai più vedere. Anche per far capire a mamma che stavo dalla sua parte e non farle commettere né un omicidio né un suicidio”.
“Ora devo aiutare mia a star bene madre” divenne per anni il mio mantra”.
Enrica si guarda le mani, ficca poi le unghie nella sua carne, attorciglia i suoi lunghi capelli e mi osserva sospettosa aspettandosi una qualche reazione che però non viene. Sto lì e aspetto senza commentare.
“Anche quando giudici e psicologi mi interrogarono la mia avversione verso papà non cedette, forte della mia fedeltà all’infelice Fiorenza, mia madre. Anni bui in cui vidi il mio fratellino di pochi anni andare da Stefano, mio padre, un fine settimana sì e uno no. Felice di andarvi, sempre desideroso di recarsi in quella grande casa dove sapeva che papà viveva con un’altra donna. Io mai vi volli entrare. Sarebbe stato oltraggio alla mamma. Consideravo quindi, fin da allora, mio fratello un traditore opportunista”. E le lacrime sgorgano copiose sulle guance paffute di Enrica mentre finalmente un fazzoletto esce dal pacchettino stropicciato e va a svolgere la sua funzione di asciugarle.
Vengo così a sapere che nel cuore di quella bambina cresce l’idea di una madre speciale, bellissima, bravissima, capacissima tanto che chiede di poter lasciare il cognome paterno per assumere quello materno. E più è tentata di vederne qualche mancanza più la tiene stretta a sé racchiudendola nell’icona della mamma migliore del mondo.
Solo molto tempo dopo Enrica porterà il suo corpo ad incontrare il padre perché lo aveva deciso il giudice, ma la sua mente rimarrà rannicchiata vicino alla sua povera mamma abbandonata ingiustamente.
“Unici scambi con papà quindi dai nonni paterni qualche domenica e festa comandata per assistere a tristi ed imbarazzanti pranzi familiari dove lui nemmeno mi guarda e mi chiede come sto. Ricordo la vigilia di un Natale tanto atteso mio padre che si addormenta nella poltrona del salotto e poi io torno arrabbiata, delusa e confusa da mia madre. La vergogna m’assaliva lungo la strada poiché mi chiedevo cosa non andasse in me. Le parole di quell’uomo che mi era padre mi giravano in testa come un vortice: “Taci, sei distratta, non ci si può fidar di te, mangia quel che ti preparo e non fare capricci”. Un giorno mi urlò: “Finisci tutto quel che c’è nel piatto” tirando una scarpa sul tavolo imbandito. “Per non trattarmi male forse vuole che mangi di più” pensai turbata.
Enrica che era la figlia prediletta del suo papà ora non sa chi è per lui, ma si mette a mangiare smisuratamente. La madre si arrabbia perché diviene obesa. I compagni la prendono in giro perché è cicciona. Il fratello divora davanti a lei deliziose merendine per sbeffeggiarla. Lei ingrassa e nessuno la vuole. La madre allora la mette a semi-digiuni forzati non mancando mai di redarguirla se si prende un tozzo di pane dal sacchetto appena ritirato dal panettiere. Enrica racconta di tante diete iniziate e mai portate a termine perché il bisogno di cibo era più forte di ogni regola. “Il corpo lo richiedeva”, dice con voce strozzata dal pianto. “E poi almeno c’era un motivo visibile per essere rifiutata, abbandonata, derisa, lasciata, tenuta fuori dai gruppi amicali. Sempre sola con i miei brutti pensieri mentre fuori ero solo un’alunna distratta, una figlia ingrata, una sorella da prendere in giro, un’amica senza amiche. Un’infame per tutti” conclude stupita ella stessa di ciò che va uscendo dalla sua bocca.
Nella sua solitudine disperata prende forma, giorno dopo giorno per lunghi dieci anni, una nuova immagine della madre e iniziano i litigi. Una mamma che la deride perché non ha capito il suo sacrificio per esserle stata alleata fedele. Una donna che le è genitrice e che la critica in continuazione non avendo apprezzato la sua rinuncia per farla contenta. Una madre che non è mai soddisfatta di lei e la svergogna in continuazione con male parole. Un’insegnante convinta di sapere tutto e che, stizzita, le toglie il piatto davanti a tutti a tavola affinché non mangi più.
Enrica singhiozza ricordando il giorno del suo compleanno mentre la mamma distribuisce le fette della torta sulla quale lei ha soffiato quindici candeline. Fiorenza le dice: “Tu no, vero Enrica!” e così dicendo passa oltre al suo piatto lasciandolo vuoto. Quel giorno decise di dare il premio “madre dell’anno” a sua madre, le tolse l’etichetta di madre perfetta e ne vide poco a poco tutti i difetti.
Ora è orfana.
E ciò che ha temuto nella sua infanzia quando papà se n’è andato a vivere con l’altra ora è realtà. “Sono sola per sempre” afferma mentre un nugolo di singhiozzi le spezza la voce. Enrica infine tuona: “Mi odio perché piango, non voglio essere debole, mi aiuti”.
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