Intervista a cura di Laura d'Orsi.
Una mamma scrive:
Dico a mia figlia di due anni e mezzo “facciamo ordine” e si mette tirar fuori tutti giocattoli. “Andiamo dai nonni” e fa i capricci. Suo fratello di otto anni è uguale: “mettiti a studiare” e si mette a fare altro. Così va a finire che per sfinimento li lascio fare. Come posso riuscire a farmi obbedire?
Perché è così difficile insegnare ai bambini ad obbedire?
I bambini ci provocano, è il loro “mestiere”. Devono capire fin dove possono arrivare, dove inizia la loro autonomia e dove finisce. E lo fanno a tutte le età, per ragioni diverse. Ma farsi obbedire quando è necessario fa parte della responsabilità naturale dei genitori. Perché i figli hanno bisogno di sentire che i grandi sanno guidarli e contenerli. Attraverso un’educazione fatta soltanto di approvazioni e di indulgenza, viene negata loro la possibilità di allenarsi a gestire i no che la vita sicuramente prima o poi gli metterà davanti. E si sentiranno smarriti, senza un solido riferimento a cui appoggiarsi.
Quando si può cominciare a dare i limiti?
Fin da subito. L’obbedienza si fonda su delle regole che devono essere rispettate, e le regole nascono, appunto, dalla regolarità. Ecco perché è importante, fin dai primi mesi, compiere i gesti quotidiani legati all’accudimento del bambino con una certa ritualità. A mano a mano che i mesi passano, però, è importante iniziare a far percepire al bebè che esistono dei limiti alle sue richieste.
In seguito come è meglio comportarsi?
Ogni genitore dovrà trovare la giusta proporzione tra l’età del bambino, il numero di regole e la gradualità con cui vengono impartite. “L’importante è stabilire un criterio di 'giustizia', che è per forza di cose soggettivo, ma non arbitrario. Significa che anche per il bambino deve essere chiaro e prevedibile. Da parte loro mamma e papà non devono stancarsi di ribadire le regole, perché è solo con il tempo che vengono assimilate.
È vero che è meglio stabilire poche regole, ma chiare?
Sì, meglio pochi limiti ma su questi non transigere. E’ giusto poi prevederne alcuni più morbidi, da contrattare di volta in volta (“non più di un’ora di cartoni al giorno, ma la domenica facciamo un’eccezione”). Attenzione poi: il no non deve essere dettato dalla rabbia o dalla comodità del momento, altrimenti il figlio capisce che si tratta di una regola priva di valore e che può cambiare a seconda delle circostanze.
I no vanno motivati?
Imporre un limite non significa non ascoltare le richieste del bambino. Anche quando gli si proibisce una cosa, gli si può dire che il suo dispiacere è comprensibile, ma che non si può fare diversamente. Gli si può anche spiegare il motivo del rifiuto, per fargli capire che c’è un senso dietro ad ogni regola, ma senza illudersi che possa comprenderlo. E se insiste, meglio tagliare corto con un deciso: “si fa così e basta”. E’ qui che il genitore assume il proprio ruolo e rivela la sua differenza rispetto al bambino.
Perché alcuni genitori fanno più fatica a sostenere la reazione di rabbia del figlio?
Perché, inconsciamente, hanno paura di perdere il suo affetto. Si sentono cattivi genitori. Questo dipende da una scarsa autostima, da un’insicurezza personale. Ma cedere è molto peggio di un no fermo e sicuro.
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