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A cura di Laura d'Orsi, giornalista.

Si è lanciato da una finestra della sua scuola. L'ha fissata per un po' e poi si è gettato, dal terzo piano di un istituto nautico di Roma. Il ragazzino, sedicenne e di origini romene, è sopravvissuto e se l'è cavata con qualche frattura. Ha detto di averlo fatto perché i suoi compagni lo prendevano in giro per la sua omosessualità. Ma il suo gesto disperato, in realtà, rivela molto altro. In primo luogo, l'inadeguatezza degli adulti a cogliere il forte disagio di un adolescente.

Dottoressa Scalari, è possibile che un ragazzino decida di uccidersi perché è gay e i compagni lo deridono?

Credo che in questa storia l'omosessualità sia solo un aspetto. Il ragazzo si sentiva tagliato fuori non solo e non tanto per la sua identità sessuale (che a questa età è ancora in costruzione e non è definita) ma perché in lui convivevano vari elementi che lo facevano sentire "diverso". Innanzitutto, la storia della sua famiglia: il ragazzo è nato in Italia da genitori romeni, ma il padre a un certo punto se n'è tornato in patria abbandonando moglie e figlio. C'è poi un sentirsi diverso che viene dalla sua doppia appartenenza: straniera per origini e modelli familiari, ma italiana per aver vissuto da sempre qui e aver assorbito la nostra cultura. Molti ragazzi, figli di immigrati, vivono questo conflitto che rende l'integrazione più difficile. Infine, non dimentichiamo che l'età stessa del ragazzo, in piena adolescenza, ha contribuito ad aumentare la sua fragilità.

Le cose insomma, sono più complesse di quanto appaiono. Non si è trattato solo di un caso omofobia...

Certo, il ragazzo ha detto di provare disagio per questo. Oggi però, pur nelle difficoltà, la maggior parte dei giovani gay vive la sua vita con molta più serenità di un tempo, sono socialmente accolti e accettati. Di fatto il problema è a monte, nella famiglia in primis. e anche nella scuola che non hanno saputo proteggerlo.

Cosa si sarebbe potuto fare?

Non esiste difficoltà che non si possa superare se alle spalle si ha una famiglia solida che sa accoglierti e aiutarti a crescere. In questo caso, pare che nessuno dei suoi si fosse accorto del malessere del ragazzo, ma è un discorso che non regge: questa sofferenza lui la covava da tempo, non può essersi manifestata così all'improvviso. Lo stesso vale per la scuola, che ormai sembra aver rinunciato a proteggere i ragazzi. Che fine ha fatto la figura dello psicologo presente negli istituti? Solo poche strutture continuano ad averlo, eppure è un servizio di ascolto molto utile grazie al quale si potrebbero evitare episodi di questo tipo. Fino a qualche tempo c'era molta attenzione al mondo dei giovani e alle loro problematiche. Oggi le luci si sono spente e li abbiamo lasciati soli, forse presi dalla crisi e dalle conseguenze economiche.

Il ragazzo fortunatamente è sopravvissuto e ha detto di essersi pentito del suo gesto. Davvero a quella età ci si rende conto di cosa significhi porre fine alla propria vita?

Non credo. Più che sopprimersi, i ragazzi desiderano liberarsi da quei pensieri che sentono come insopportabili, eliminare quelle parti di sé che causano dolore e fatica di vivere. Ecco perché i luoghi di ascolto sono fondamentali. Parlarne aiuta a distinguere e ad essere indirizzati. Soprattutto aiuta a non sentirsi soli, che a questa età è devastante. Non è un caso che il ragazzo abbia scelto di buttarsi dalla finestra: il mondo mi taglia fuori e io, in quel fuori, cerco la morte.

Lui infatti ha detto di essersi sentito isolato. Qual è il ruolo dei suoi compagni in tutto questo?

La paura più grande per un adolescente è non sentirsi parte di un gruppo. Per questo è sempre meglio che i gruppi siano diversi: la classe, la squadra, gli scout e via dicendo. Perché se in uno di questi le cose non vanno bene, ci si può rifugiare nell'altro. Nel caso del ragazzo, la solitudine è stata determinante. Se avesse avuto altre risorse in termini familiari e di amicizie, le presunte prese in giro non lo avrebbero più di tanto sconvolto, così come accade a tanti altri ragazzini, dileggiati per i brufoli o la ciccia. La derisione causa sofferenza e va sempre condannata, ma non può essere il motivo scatenante di un gesto così forte.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.