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A cura di Laura d'Orsi, giornalista.

La proposta choc è partita qualche tempo fa dalla regione della Bassa Sassonia, in Germania: bocciare i ragazzi li espone a un'umiliazione troppo forte, che incide pesantemente sul loro sviluppo psicologico. E in più, far ripetere l'anno a uno studente costa troppo alle casse dello Stato. Tanto vale abolire la bocciatura dall'ordinamento scolastico, perché alla fine sono più gli svantaggi che i vantaggi.

Dottoressa Scalari, pensa anche lei che le bocciature andrebbero eliminate?

Credo che in qualche caso uno stop sia necessario. Succede quando il ragazzo ha affrontato la scuola con noncuranza, ha sottovalutato l'impegno, o ha dato per scontato la promozione senza essersi battuto per ottenerla. Ma deve trattarsi comunque di una bocciatura programmata, spiegata con anticipo, condivisa con lo studente, non un'azione punitiva nei suoi confronti. In tutti gli altri casi, ho molti dubbi che impedire a un ragazzo di accedere alla classe successiva sia utile.

Pensa che la bocciatura possa influire sulla personalità di un ragazzo?

Sì, certamente. Alcune possono davvero causare un profondo senso di vergogna, umiliazione, fallimento e gettare nella disperazione i ragazzi. Qualcuno si sente segnato a vita, e di fatto poi è così. Non adulti sappiamo che una bocciatura non è una tragedia, ma nella mente di un ragazzo può davvero diventarlo. Ciò che è importante è saper interpretare, capire cosa c'è dietro uno studente che fa fatica. .

Ogni bocciatura, quindi, è un caso a sé?

Sì, e invece si fa presto ad accomunare tutte le situazioni sotto l'etichetta "il ragazzo non ha voglia di studiare". Troppo facile: bisogna sforzarsi di capire cosa c'è dietro la mancanza di impegno e di investimento nello studio. Per esempio, una bocciatura in prima superiore è indicativa quasi sempre di un errore di orientamento. Ma ci sono altri casi, come quando un adolescente si fa di proposito bocciare per protestare contro i suoi genitori, magari tutti preoccupati per il rendimento scolastico del figlio ma disattenti su altri aspetti. Succede per esempio nelle famiglie troppo centrate sul fare e poco sull'essere, sulla comunicazione profonda. La domanda da farsi, sempre, è: che messaggio reale sta mandando il ragazzo? Purtroppo si tende sempre a pensare che un alunno in difficoltà sia un ragazzo pigro, lavativo.

Cos'altro si può nascondere dietro a un ragazzo che fa fatica a scuola?

La paura di non farcela, che il mondo pretenda troppo da lui. A nessuno piace avere un insuccesso, e nessuno si diverte a farsi bocciare. Nemmeno gli studenti che sembrano più spavaldi e menefreghisti. Spesso dietro questi atteggiamenti c'è il timore di non riuscire. E' come se il ragazzo pensasse: "meglio essere l'ultimo, che non farcela ad arrivare tra i primi". Anche questo è un modo per attirare l'attenzione su di sé, per distinguersi. Ci sono poi gli studenti che fino all'ultimo sono davvero convinti di farcela, di essere promossi, nonostante i voti parlino chiaro. E continuano la loro vita come niente fosse, senza rinunciare a nessun impegno extra scolastico per concentrarsi sullo studio. In questo caso si inventano una realtà che non esiste per allontanare quella che a loro non piace e che fa male.

In ultima analisi, come dovrebbe affrontare la scuola questo problema?

Espellere gli studenti non è la soluzione migliore. La scuola è un'esperienza fondamentale e non solo per il bagaglio culturale che ci permette di avere. C'è un mondo di relazioni, con gli adulti e con i pari età, che formano l'identità personale, le conferiscono maggiore solidità. Chi ha frequentato la scuola, come dimostrano le ricerche, ha più anticorpi contro le esperienze di devianza e marginalità. Sarebbe davvero auspicabile che la scuola sostenesse i ragazzi, nell'orientamento, nelle loro reali difficoltà e paure, nella fatica di crescere. Allora molte bocciature potrebbero essere evitate.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.