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A cura di Laura d'Orsi, giornalista.

Quando capita, si rimane sgomenti. Apprendere di un ragazzo che si toglie la vita o tenta di farlo, come nei più recenti casi di Vicenza e di Udine, lascia un'enorme tristezza e una domanda che non trova risposta: perché? Perché rinunciare a un futuro, nel fiore degli anni, quando tutto può ancora accadere?

Interrogarsi su questo fenomeno alla ricerca delle motivazioni, per quanto difficile sia, è indispensabile. Solo così si possono prevenire altre tragedie, altro dolore straziante per le famiglie che perdono un figlio.

Dottoressa Scalari, tante volte si legge, negli articoli che parlano dei casi di suicidio giovanile, che non c'era alcun motivo apparente, tutto andava bene nella vita di questi ragazzi. Può essere davvero così?
Nessun motivo è mai sufficiente a spiegare un evento così estremo, a giustificare che nella mente di questi giovani scompaia la voglia di vivere, tanto da arrivare ad auto annientarsi. Eppure, una ragione scatenante c'è sempre. Una delusione d'amore, un dissidio familiare, il fatto di sentirsi inadeguati, la vergogna per un gesto compiuto o la paura di non essere amati: sono questi i tarli dell'anima più frequenti che, se non individuati ed estirpati in tempo, possono portare alle estreme conseguenze.

Molti ragazzi provano delusioni forti e vivono situazioni difficili, ma non arrivano a togliersi la vita. Cos'è allora che scatta nella mente di chi decide di farlo?
Avviene un black out che cancella il senso del tempo, non c'è più un prima o un dopo, ma un assoluto presente, fatto di disperazione. E' un vuoto tremendo che inghiotte tutto e che non lascia alternative. Chi compie il gesto di suicidarsi non ha speranza, perché il futuro non c'è nella sua mente. L'unico futuro che a volte riesce a immaginare riguarda le conseguenze immediate del suo gesto.

In che senso?
Prima di agire, alcuni hanno fantasie sulle reazioni di amici e parenti, sul loro dolore, sul vuoto che lasceranno. Purtroppo questi pensieri alimentano il desiderio di morire, gli danno un senso. Come se potessero vedere la scena dall'alto e quasi compiacersi. C'è, talvolta, un senso di onnipotenza, di superiorità: io scompaio, mi sottraggo coraggiosamente a questa vita che non ha senso mentre voi continuerete a soffrire. Ma, bisognerebbe chiedersi, è più coraggioso vivere o eliminarsi?

Il suicidio è la seconda causa di morte tra i i giovani. E i suicidi tra gli adolescenti rappresentano il 6% sul totale. Sono cifre che fanno riflettere e che impongono un'osservazione più attenta dei nostri ragazzi. Quali segnali rappresentano un allarme?
Ogni sintomo depressivo, di eccessiva introversione, ma anche al contrario, di troppa eccitazione o trasgressione deve far pensare a una profonda tristezza e meritano un approfondimento. Ricordiamoci: il suicidio non è mai un fulmine a ciel sereno. I segnali di pre-allarme ci sono sempre.

Cosa ne pensa dei tentativi di suicidio? O di chi annuncia attraverso i social network che ha intenzione di togliersi la vita?
C'è un luogo comune secondo il quale chi dice di volersi uccidere in realtà non ne ha l'intenzione. Non è così. Sia i tentativi mancati, sia le dichiarazioni sul proprio desiderio di farla finita non vanno mai sottovalutati. Sono degli urli di aiuto che devono trovare ascolto. Il margine tra suicidio vero e suicidio "mostrato" può essere veramente minimo. Dopo un'azione "dimostrativa", le condizioni del ragazzo possono precipitare e realizzarsi in una vera intenzionalità. I dati dicono che il 10% degli adolescenti dopo il primo tentativo fallito, entro tre mesi ci riprovano.

Esiste un rischio di emulazione? La morte ha sempre affascinato i giovani, la sfiorano, ci "giocano" in vari modi...
Sì, è stato dimostrato che nella cerchia di amici e parenti che hanno vissuto la morte suicidaria di un loro caro, vi è un rischio maggiore che si verifichi lo stesso evento. L'impatto di una perdita così drammatica, può essere davvero devastante per la mente di un ragazzo, il cui immaginario rimane traumatizzato. E spingerlo, qualche tempo dopo, ad emulare il gesto. Gli adulti e gli insegnanti devono fare molta attenzione in queste circostanze. Ma credo che un ruolo importante ce l'abbiano anche i mass media, che dovrebbero sempre evitare di enfatizzare questi drammi per non creare pericolose suggestioni.

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.