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A cura di Laura d'Orsi, giornalista.

Due gemelli che stanno crescendo nel grembo di una donna che non è la loro madre biologica. Due genitori che ne aspettano la nascita, ben sapendo che non avranno alcuna somiglianza con loro. E altri due che, pur non essendone giuridicamente la madre e il padre, lo sono biologicamente e quei figli li volevano a tutti i costi.

Una situazione che sembra quanto di più assurdo si possa immaginare, se non fosse drammaticamente vera, frutto di uno scambio di provette in un laboratorio per la procreazione medico-assistita a Roma. E, intorno, un vuoto legislativo che darà il via, probabilmente, a una battaglia legale tra le due coppie. La domanda che molti in questi giorni si sono posti è: di chi sono veramente questi bambini?

Dottoressa Scalari, che risposta si è data a questo interrogativo?

Credo che la risposta più corretta sia che questi bambini in realtà non saranno figli di nessuna delle due coppie. Certo, dal punto di vista giuridico vigente, i figli sono di chi li partorisce, ma sappiamo bene che la legge non contempla ancora casi come questi. Che di certo si sono già verificati, poiché l'errore umano è sempre possibile, ma che sono passati sotto silenzio. D'altra parte il patrimonio genetico non è una questione indifferente e incide sul senso di appartenenza che genitori e figli provano reciprocamente. La genitorialità però non può definirsi solo attraverso la biologia, per cui nemmeno l'uomo e la donna da cui provengono gli embrioni impiantati per errore, potranno davvero definirsi genitori.

La donna che li sta portando in grembo ha detto che li sente suoi, che non intende rinunciare a loro, e così anche suo marito. Sarà sufficiente l'amore che provano per questi bambini a superare le difficoltà?

Temo che non sarà così. Entrambe le coppie volevano un figlio "loro" a tutti i costi. Si sono sottoposte a trattamenti per vincere la sterilità, seguendo un percorso difficile, fatto di manipolazioni sul corpo molto invasive. Tutto questo non potrà non avere dei pesanti costi psichici, soprattutto una volta che i bambini saranno nati. E questa sofferenza coinvolgerà tutti: i genitori secondo la legge, quelli biologici e i figli stessi. C'è un profondo fraintendimento che riguarda la fecondazione assistita, considerata paragonabile al concepimento che avviene naturalmente. Non è così, nemmeno quando i gameti appartengono ai genitori biologici. Figuriamoci quando, come in questo caso, si tratta di una fecondazione, di fatto, eterologa.

Qual è la differenza? Cosa cambia?

I figli concepiti naturalmente nascono da dentro. C'è un processo del corpo e della psiche, irripetibile e misterioso, che fa scoccare la scintilla della vita nel corpo di una donna. Un embrione concepito in provetta nasce da fuori, attraverso l'intervento di terzi, grazie a una manipolazione che è tutto fuorché naturale. E questa differenza è fondamentale perché è come se mancasse un passaggio, nella psiche dei genitori e dei figli. I quali avvertiranno sempre su di sé un compito, spesso pesante: quello di riparare una ferita, un lutto, che è la sterilità dei loro genitori. Da parte loro, le coppie che ricorrono alla fecondazione artificiale hanno quasi sempre delle angosce di non riconoscimento: pensano che il figlio che aspettano non sia il loro, che ci sia stato uno scambio di provette o che il loro ovulo sia stato fecondato con il seme di un altro uomo. Sono tutti segnali di una difficile elaborazione psichica di un concepimento avvenuto "altrove".

In questo caso più che fantasie, si tratta proprio di realtà...

Appunto. A questo si aggiunge il dolore dei genitori "mancati", ma anche l'inevitabile senso di colpa degli altri due, che per tutta la vita, sentiranno di aver "rubato" qualcosa a qualcun altro. Purtroppo non c'è una soluzione indolore, per nessuno.

Adesso che la Cassazione ha eliminato il divieto di ricorrere alla fecondazione eterologa in Italia, che scenari si prospettano?

Credo che quando si ricorre a queste tecniche, sia indispensabile una consulenza psicologica. La scienza dovrebbe ascoltare anche il parere di chi si occupa della psiche, perché i risvolti, quando si vuole un figlio a tutti i costi sottoponendosi a massacranti impianti di embrioni spesso infruttuosi, possono essere devastanti. E noi professionisti dobbiamo essere in grado di aggiornarci e fornire un vero supporto a queste nuove forme di genitorialità.

 

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Paola Scalari
è psicologa, psicoterapeuta, psicosocioanalista, docente in Psicoterapia della coppia e della famiglia alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della COIRAG e di Teoria e tecnica del gruppo operativo in ARIELE psicoterapia. Docente Scuola Genitori Impresa famiglia Confartigianato.
Socia di ARIELE Associazione Italiana di Psicosocioanalisi. E’ consulente, docente, formatore e supervisore di gruppi ed équipe per enti e istituzioni dei settori sanitario, sociale, educativo e scolastico.
Cura per Armando la collana Intrecci e per la meridiana la collana Premesse… per il cambiamento sociale, ed è consulente delle riviste Animazione sociale del gruppo Abele, Conflitti del CPPP, Io e il mio Bambino, Sfera-Rizzoli group.
Nel 1988 ha fondato i "Centri età evolutiva" del Comune di Venezia per sostenere la famiglia nel suo compito di far crescere i figli e si è occupata della progettualità del servizio Infanzia Adolescenza della città di Venezia.
Insieme a Francesco Berto ha recentemente pubblicato per le edizioni La Meridiana: "Adesso basta! Ascoltami. Educare i ragazzi al rispetto delle regole." (2004), "Fuggiaschi. Adolescenti tra i banchi di scuola." (2005), "Fili spezzati. Aiutare genitori in crisi, separati e divorziati." (2006), "ConTatto. La consulenza educativa ai genitori." (2008), "Padri che amano troppo." (2009), "Mal d'amore. Relazioni familiari tra confusioni sentimentali e criticità educative." (2011), "A scuola con le emozioni - Un nuovo dialogo educativo" (2012), "Il codice psicosocioeducativo" (2013), "Parola di Bambino. Il mondo visto con i suoi occhi." (2013).

Educare è insegnare ad avere fiducia nel mondo che verrà, a investire positivamente le proprie capacità, a sognare e faticare per realizzare le proprie speranze di vita. Una scuola attiva, formativa, lo sa.
La scuola attiva e formativa è la scuola che tutti noi vorremmo avere per i nostri bambini e ragazzi ma sembra essere lontano anni luce da quello che incontriamo quotidianamente. Prevale una lamentazione diffusa: insegnanti che si lamentano della famiglia dei propri alunni, genitori che difendono tout court i figli e non sembrano comprendere la necessità di un apprendimento basato su aspetti cognitivi, cooperativi ed emotivi. Si trova tanta demotivazione e ancor più rassegnazione, al punto da creare una sorta di imprinting alla rassegnazione anche nei bambini.
Questo libro, curato da Paola Scalari e scritto da insegnanti, pedagogisti, psicologi ed educatori ha il compito da un lato di fare una fotografia critica del presente, dall'altro di proporre buone pratiche per una scuola dell'oggi e del domani. Le buone pratiche sono basate su teorie consolidate ma non ancora applicate in maniera sistematica e consapevole: Bauleo, Pagliarani, Bleger, Freinet, Milani e, per citare il mondo attuale, Canevaro e Demetrio.
Si tratta di pratiche che tengono conto della possibilità di costruire una scuola che aiuti a pensare, dialogare, dar forma. Una scuola basata sull'ascolto, su modalità cooperative, dove bambini e ragazzi possano sentirsi liberi di esprimersi ma anche di prendersi responsabilità in base alle loro competenze. Una scuola che sa mettersi in relazione con i bambini e che sa creare basi per una coesione tra adulti che condividono l'educazione dei figli e degli allievi.
A scuola con le emozioni è rivolo agli insegnanti e ai genitori, ma anche a educatori e psicologi. Com'è il mondo visto con gli occhi del bambino? E' una domanda a cui dovrebbero saper rispondere soprattutto gli educatori dei bambini (oltre che i genitori, auspicabilmente), le maestre e i maestri di vari livelli, coloro che sono impegnati a far crescere i piccoli, ad indicare loro la strada per diventare adulti, per imparare a vivere. Una bella risposta alla domanda è contenuta nel libro "Parola di bambino" scritto da Paola Scalari e Francesco Berto, edizioni la meridiana (premesse... per il cambiamento sociale). La collana, per altro, è curata dalla stessa Paola Scalari che venerdì 14 alle 18 sarà alla libreria Einaudi di Trento in piazza della Mostra.

"Il conflitto che i bambini esprimono con le loro paure richiede l'amore di tutta la nostra intelligenza", scriveva lo psicanalista Luigi Pagliarani negli anni Novanta. Fondatore e presidente di ARIELE (Associazione Italiana di Psicosocioanalisi), Pagliarani, ha lasciato una profonda traccia del suo pensiero tanto che, molti dei suoi, allievi, ora psicanalisti e psicoterapeuti, hanno costituito la Fondazione a lui dedicata (www.luigipagliarani.ch). Fra questi Carla Weber che, venerdì 14, sarà in conversazione con Paola Scalari, co-autrice del libro. Suddiviso in quattro parti, "Alfabetizzazione sentimentale" la prima, "Chiamale emozioni" la seconda, "Il legame familiare" la terza e "Immagini spontanee, volare in alto" la quarta, "Parola di bimbo" non racconta, evoca, "mobilita cioè, poeticamente, la condizione di figlio che è l'elemento unificante l'umanità". Per gli studiosi che fanno riferimento a Luigi Pagliarani, gli autori del libro e coloro che fanno parte dell' associazione "Ariele", oltrecché della Fondazione, "la possibilità di ogni bambino di costruire un buon legame con sé stesso e con il mondo esterno va iscritta nei rapporti tra genitori, nei vincoli tra famiglie, nel tessuto vitale di un territorio, nell'attenzione creativa del mondo scolastico e nelle buone offerte del tempo libero". Sostengono gli autori del libro che "un adulto significativo nella crescita dei minori sa rimanere in contatto con la parte piccola, sensibile, fragile, incompiuta di se stesso". Solo così è possibile riconoscere ed identificarsi con le fatiche emotive dei bambini e aiutare il piccolo a "mettere in parole le emozioni". Non un percorso facile perché presuppone, da parte dell'adulto, la capacità di instaurare un livello comunicativo fra sé e il piccolo, visibile e invisibile, fra la mente di chi è già formato e la psiche di chi deve ancora formarsi. Una sfida bella, premessa necessaria per un mondo umano più equilibrato e meno sofferente. Il libro è il risultato di una ricerca sul campo fatta con i bambini e, nelle pagine sono contenute anche le loro osservazioni, le riflessioni su alcune questioni poste dall'educatore. Una postfazione di Luigi Pagliarani contribuisce a centrare ancor più il tema perché i due verbi da coniugare in ambito educativo sono "allevare e generare. Il grande - che sa ed ha - con l'allevare dà al piccolo quel che non sa e non ha. Qui c'è una differenza di statura. Nel generare questa differenza sparisce. Tutti contribuiscono a mettere al mondo, a far nascere quel che prima non c'era...". Un libro utile a educatori, genitori e adulti che vogliano rapportarsi con successo con i piccoli.