A cura di Laura d'Orsi, giornalista.
A Sestri una ragazzina di 12 anni viene presa a calci e pugni da una diciassettenne per vendicare uno sgarro. A Varallo Sesia una studentessa disabile viene picchiata e insultata in classe da tre compagni sotto l'indifferenza dell'insegnante. A Chioggia una mamma, intervenuta in difesa del figlio, viene presa a pugni dallo stesso bullo e mandata in ospedale. In pochi giorn,i un'escalation impressionante di violenza, che pare connotarsi in modo diverso rispetto agli episodi di bullismo che già conosciamo.
Dottoressa Scalari, il bullismo sta cambiando?
Da quanto possiamo osservare, direi di sì. Prima il fenomeno avveniva soprattutto tra compagni di scuola, laddove il più forte prevaricava il più debole. Adesso assistiamo invece a un confronto impari: la ragazza molto più grande che picchia la più piccola, il bulletto che prende a pugni una mamma, i compagni che infieriscono sulla compagna disabile. Si è superato ogni limite, e lo si capisce anche da altri aspetti presenti in questi episodi.
Quali sono?
Nel caso della diciassettenne, la violenza per procura. Otto minuti di calci, pugni e morsi a una ragazzina per il gusto di vendicare un'amica, come se ci fosse un “piacere” nell'aggredire in un modo così brutale. Ecco che un passo in più viene compiuto: l'azione violenta diventa un diritto.
Ma non solo: perché in questo caso, come i quello della ragazzina disabile, c'è chi pensa di filmare l'episodio e di metterlo in Rete, come fosse normale, anzi qualcosa da esibire e di cui ridere o vantarsi.
Pare che questi filmati siano stati molto visti...
E questo è un altro aspetto del “nuovo” bullismo: la violenza assistita. Anziché cercare di intervenire, si preferisce stare a guardare e addirittura registrare l'accaduto. Poi c'è la condivisione sui social networks, nella speranza che il proprio filmato venga visto da più persone possibili, che riscuota successo a abbia tanti “like”. Oggi si esiste perché si è visibili in Rete e non importa con quali mezzi si ottiene il gradimento. E' un altro aspetto inquietante di questo fenomeno.
Come si è arrivati a tutto questo?
La causa è la mancanza di pensiero, di riflessione. Non si ponderano più le conseguenze dei propri gesti, si agisce d'impulso, seguendo correnti adrenalitiche che non vengono filtrate dalla ragione. E' un “guasto” che si può riscontrare a più livelli: nella società, dove tutto è possibile e tutto diventa un diritto; nella famiglia dove i genitori spesso non vogliono far fatica a educare i propri figli alla riflessione, al “non si fa perché”. Si preferisce l'urlata fine a se stessa o l'abbandonare il campo con frasi come “fai quello che vuoi”, che alla fine vogliono dire “Non ti guardo, non mi curo di te”.
E la scuola è responsabile di tutto questo?
Sì, laddove ci sono insegnanti che non vedono o fanno finta di non vedere, come nel caso del professore della ragazzina disabile picchiata. E' emblematico di un'istituzione che ha abdicato al suo ruolo educativo: non ci sono risorse, non c'è la volontà di impegnarsi in progetti permanenti che affrontino, per esempio, il tema della conflittualità e diano gli strumenti per risolverla senza dover per forza agire. E' vero, questi percorsi educativi hanno dei costi, ma non quando succedono episodi così, i costi economici e sociali, si moltiplicano.
Da dove si può partire per cambiare le cose?
Nel nostro piccolo è importante che impariamo a non abituarci a nessuna forma di bullismo, dobbiamo scandalizzarci, parlarne con i nostri figli, facendoli riflettere sempre su quanto sia immorale tutto questo. I ragazzi non sono mai i veri colpevoli, ricordiamolo. Alle loro spalle c'è sempre un mancato investimento educativo, ed è questa la vera emergenza.
| |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
| |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
© 2010-2020 MdR per Paola Scalari - p.iva 03025800271 - c.f. SCLPLA52L49L736X | Cookies e Privacy Policy