A cura di Laura d'Orsi, giornalista.
L'hanno messo in vasca da bagno, denudato, depilato, bruciacchiato con l'accendino, gli hanno fatto pipì addosso. E qualcuno ha ripreso la scena con il telefonino. E' successo questo durante la gita di classe di un liceo di Cuneo. I ragazzi responsabili dell'accaduto, tra i 15 e i 16 anni, erano alticci e se la sono presa con un loro compagno, che aveva retto meno di loro l'alcol.
Scoperti dagli insegnanti, in 14 sono stati sospesi da scuola, alcuni anche per due settimane, con un voto in condotta che metterà a rischio l'ammissione alla classe successiva. Tra i genitori, qualcuno ha fatto ricorso contro la decisione della preside, ritenendola ingiusta, altri hanno commentato che si è trattato di una “bravata” e che la punizione è stata esagerata.
Dottoressa Scalari, cosa pensa della reazione dei genitori?
Ricorrendo contro la scuola e giustificando i loro figli, hanno dimostrato che la loro preoccupazione principale non è stata quella di capire se la punizione impartita fosse davvero giusta ed educativa, ma di salvare in qualche modo l'immagine familiare e l'innocenza del loro “bambino”. E' come se la condanna avesse colpito loro, incapaci di distinguersi dai propri figli, e perciò pronti a difenderli anche contro l'evidenza dei fatti.
Cosa impedisce a questi genitori di chiamare con il suo nome un atto di bullismo?
Un grande narcisismo, l'idea che il figlio sia un oggetto da esibire e non un soggetto da educare. E' un tratto molto comune oggi, insieme a una forte fragilità educativa. I genitori sono spaventati, è come se avessero perso i punti di riferimento, danno risposte immediate senza che a monte vi sia un progetto educativo. Un accaduto del genere avrebbe meritato un approfondimento e una comprensione diversi. Anche da parte della scuola.
Ritiene che le decisione di sospendere i ragazzi sia stata sbagliata?
Una punizione era necessaria. Ma la sospensione non è quasi mai la strada più giusta. E' forse la più facile, ma non certo quella più educativa. Perché allontanare i ragazzi dall'ambiente scolastico significa non volerli vedere, non curarsene e lasciarli a casa, magari da soli a non far niente, e questo non significa fargli comprendere il significato delle loro azioni.
Quale alternativa sarebbe stata più efficace?
Certamente un provvedimento ragionato, penso per esempio a un incontro tra genitori, preside e insegnanti, meglio ancora se alla presenza di uno psicologo, per trovare insieme una strategia educativa. Prima di impartire la punizione, occorreva capire dove c'è stata la “falla”, quali messaggi sono passati o no ai ragazzi rispetto al bullismo, dove la famiglia è stata lontana e dove la scuola non è intervenuta. Situazioni dolorose come queste dovrebbero diventare il punto di partenza per un percorso educativo. Solo così si evita che possano ripetersi.
In concreto come si può realizzare un intervento di questo tipo?
Per esempio coinvolgendo i servizi sul territorio, organizzando incontri e dibattiti sul tema della violenza, del bullismo ma anche dell'alcol, visto che i ragazzi ne avevano fatto uso. Bisogna far sentire loro che non sono soli, ma che c'è chi li segue e mette dei paletti. Spesso agiscono così perché sono spaventati, non dimentichiamo che crescere è faticoso. Ma se trovano adulti ancora più impauriti di loro, come possono sentirsi? E poi, certo, la punizione deve esserci, ma costruttiva: pulire il giardino della scuola, dipingere le aule o andare a fare compagnia agli anziani in casa di riposo. Qualcosa di utile, non solo per gli altri ma soprattutto per loro stessi.
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