Il passaggio attraverso l'identificazione con il «gruppo dei pari» è necessario al ragazzo per metabolizzare il distacco dal gruppo di appartenenza primario, quello familiare, e per giungere all'individuazione di sé. Affinché questo distacco non si traduca in rottura o incomprensione e sia, invece, percorso di crescita verso l'indipendenza, anche l'adulto è chiamato a mettersi in gioco, ricercando la linea sottile che distingue protezione e responsabilità dall'invasione di un mondo che non lo vede più al centro.
Chi è il preadolescente? Comunemente lo si definisce sia come bambino che come ragazzo. Sono Anna Freud (1949), Erikson (1951) e Blos (1958) che, considerando la pubertà come momento evolutivo che porta al dissolvimento dell'organizzazione della latenza, hanno definito questa fase evolutiva «preadolescenza».
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È' sotto gli occhi di tutti lo stress a cui sono sottoposti genitori e famiglie, a causa di fattori come la velocità dei ritmi di vita e l’ansietà che inducono, l’assorbimento delle energie emotive da parte del lavoro, la necessità di riorientarsi continuamente dentro le sfide culturali della «società del rischio». Eppure, le famiglie sono uno dei luoghi più intensi di ricerca di varchi verso il futuro, sono laboratori di ricerca culturale, etica ed educativa, ma necessitano di spazi sociali e culturali in cui rielaborare i propri percorsi.
Entriamo in una scuola e, stando in disparte, con discrezione, osserviamo cosa accade dentro ad un'aula durante una lezione. Tra i banchi aleggia un forte anelito. Si può quasi toccare, annusare, sentire sulla pelle mentre con la sua carica penetrante cerca di introdursi dentro di noi, di avvolgerci come se volesse compenetrarci. A un certo punto ci sembra addirittura di vederlo.
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In breve: lavorare efficacemente in un gruppo significa innanzi tutto imparare a rielaborare incessantemente e collettivamente i vissuti comuni. Ma è indubbiamente nella capacità di trovare un equilibrio, anche se provvisorio, del complesso mix di componenti affettive e cognitive di cui ogni partecipante è portatore che risiede la possibilità di una maturazione del gruppo e la capacità di accettare il senso del limite senza rinunciare all’azione.
Conoscere l’oggetto del proprio lavoro, per gli operatori impegnati in un progetto, comporta un processo di apprendimento continuo. Apprendere significa far crescere il proprio sapere. Sapere comporta una ripetuta elaborazione delle fantasie e dei fantasmi che si sviluppano nel processo di trasformazione. Trasformarsi mobilita dunque emozioni, sentimenti ed affetti personali di ciascun operatore.
Fermarsi per trasformare l'irruente fare in un pacato comprendere
Ci sono famiglie dove avvengono veri e propri travasi di emozioni negative dai genitori ai figli. Inconsciamente o no, madri e padri trasmettono le loro traversie, le loro ansie, rischiando di precipitare i figli in gravi rotture evolutive. Rischio tanto più serio se è vero che quanto ciascun minore attinge nelle prime relazioni familiari viene da lui stesso giocato duramente nell'adolescenza. Ecco perché è importante aiutare i genitori a riflettere, a ridare parole ai loro vissuti, così da farli uscire dalla ripetitività delle loro modalità relazionali con i figli.
Succede in tutti gli ambiti di lavoro. Persone diverse, con storie personali e professionalità specifiche, si trovano a gestire insieme obiettivi e strumenti di lavoro. Nel frattempo, i vissuti dell'équipe crescono e si sviluppano, non senza difficoltà e veri e propri momenti di impasse. Portare il gruppo a una maggiore attenzione e consapevolezza delle dinamiche interne ha allora un importante valore strategico ai fini del raggiungimento degli obiettivi comuni.
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